CONTRO L’ISOLAMENTO, LA DIFFERENZIAZIONE, LE NUOVE SEZIONI SPECIALI

settembre 16, 2010

Domenica 19 settembre ore 13.00
Presidio sotto il carcere di Latina
AL FIANCO DEI PRIGIONIERI RIVOLUZIONARI

In occasione della giornata di mobilitazione per i prigionieri politici di lunga detenzione, lanciata dal Soccorso Rosso Internazionale, e dello sciopero della fame di 20 giorni che Marco, Costa, Silvia e Billy hanno iniziato il 10 Settembre nelle carceri svizzere, aderiamo e invitiamo a partecipare al presidio indetto sotto un carcere in cui sono detenute da oltre 20 anni alcune compagne rivoluzionarie. In Italia oggi esistono sezioni differenziate solo per i prigionieri politici come Latina, Alessandria, Siano, Carinola, Rossano, Benevento e Macomer. Il fine è isolarli sia dagli altri detenuti sia rispetto all’esterno, ma i compagni e le compagne che, nonostante gli anni di galera continuano a resistere, sono parte integrante della lotta di tutti noi contro il capitalismo. In democrazia, i tribunali rispondono all’esigenza dello Stato di difendere se stesso da chi nega la sua legittimità. È chiaro come in generale sia il potere politico a dettare la linea su quello giudiziario; in quest’ottica il carcere diventa un sostegno ideologico fondante della civiltà che ci circonda. I prigionieri politici rendono evidente questo dato. Le istituzioni civili, parlamentari e non, dei paesi sviluppati hanno creato delle norme che vincolano la scarcerazione dei detenuti rivoluzionari (quando la loro pena è terminata) oppure alcuni benefici (quando il fine-pena è mai) al loro ‘ravvedimento’ che prende l’esatta forma dell’abiura pubblica. Un condannato a lunghe pene per reati associativi può accedere alle facilitazioni previste dalla legge solo rinunciando alla propria identità politica; questa imposizione assume varie forme legali, a seconda del luogo, dall’obbligatorietà della perizia psichiatrica fino alle norme che prolungano arbitrariamente la detenzione ed applicate in modo retroattivo a chi si trova già in carcere. L’ovvia conseguenze è che coloro che si trovano ancora il galera dopo tanti anno sono i compagni che non hanno accettato di essere piegati, mantenendo la loro integrità rivoluzionaria e la loro dignità: alla giustizia di Stato non sfugge il pericolo costituito dal fatto che costoro tornino ad essere parte delle lotte e dei movimenti. Ma la loro fermezza dice qualcosa anche a noi: è necessario non abbandonarsi alle frustrazioni o alle nostalgie e conquistarsi un posto verso il cambiamento radicale e reale. Se siamo parte dello stesso percorso che porterà i popoli a liberarsi dagli oppressori e le genti ad essere infine libere, dobbiamo mostrarlo. La storia ci ha insegnato quanto è inutile fare appelli democratici ai reclusori e come solo lo scontro può darci la libertà che vogliamo, la libertà dalle galere, dallo sfruttamento, dal dominio culturale e dalla violenza istituzionalizzata. La natura totalitaria delle democrazie attuali indica quanto fosse rozzo il fascismo; i paesi occidentali ne hanno ereditato i fini, raffinando però i mezzi: lo spirito del codice penale è diffuso, alla ricerca della collaborazione delle masse. Non serve parlare di telecamere ad ogni angolo di strada per dire che vogliono controllare l’intera società. Ciononostante, la coscienza rivoluzionaria non è spenta, la lotta è necessaria ed inevitabile e gli organi repressivi non cessano il tentativo di fermarla. Anche in questo, gli strumenti evolvono e sezioni speciali e differenziazione rappresentano la linea seguita ormai dagli anni 70: il carcere tedesco della deprivazione sensoriale, il carcere speciale italiano dell’art. 90 e poi del 41 bis, il Fies in Spagna… Ma contro il carcere, c’è sempre stata battaglia come contro la società dello sfruttamento e della guerra che lo produce.

Assemblea Contro il Carcere e la Repressione


UNITI NELLA SOLIDARIETÀ DI CLASSE INTERNAZIONALISTA

settembre 16, 2010

Come Associazione Parenti e Amici aderiamo al presidio che si terrà il 19 settembre sotto il carcere di Latina per rilanciare la solidarietà a tutti/e i/le prigionieri/e rivoluzionari/e rinchiusi nelle carceri di tutto il mondo. Una mobilitazione che si colloca all’interno di una campagna internazionale in sostegno ai prigionieri politici di lunga detenzione. La nostra esperienza ci ha insegnato come la solidarietà sia una pratica indispensabile per contrastare la repressione carceraria inflitta a chi non si piega e mantiene salda la propria identità politica. Abbiamo conosciuto il carcere “incontrando” la detenzione speciale riservata ai nostri cari, così come lo è per tanti altri prigionieri rivoluzionari. Un trattamento che mira all’annientamento del detenuto per spezzarne l’identità politica, ma che vorrebbe anche recidere il legame della resistenza e la lotta fra fuori e dentro le carceri. Per questo crediamo necessario ampliare e rafforzare il lavoro sulla solidarietà di classe lottando contro l’isolamento carcerario, le sezioni speciali e le nuove strategie di differenziazione, e ancora contro il peggioramento del cosiddetto carcere duro, il 41bis. Non ci vuole poi molto per capire come la nuova forma di differenziazione carceraria che, oltre a dividere i detenuti rivoluzionari dagli altri prigionieri li colloca anche in diversi carceri in base alle ideologie, sia un salto in avanti da parte degli apparati repressivi. Infatti, a Latina, Alessandria, Siano, Carinola, ci sono alcune delle carceri in cui compagni comunisti e anarchici sono rinchiusi in sezioni speciali di AS2, e non dimentichiamo le “Guantanamo nostrane” a Rossano, Macomer, Benevento e Asti, dove sono imprigionati arabi antimperialisti. Se già conosciamo lo scopo di tenere ben separati i detenuti comuni da quelli politici, “evitare il contagio”, con questa nuova differenziazione ”ideologica” l’obiettivo è chiaro: spezzare preventivamente e con ogni mezzo la solidarizzazione e l’unità che si svilupperebbero fra i detenuti e le detenute. Com’è successo recentemente, quando a un compagno recluso nella sezione speciale per soli comunisti nel carcere confino di Siano (CZ), è stata disposta la censura sulla corrispondenza. Un decreto iniziato col blocco di una particolare lettera e imposto proprio dal magistrato di sorveglianza dello stesso carcere, il quale con zelo •”preventivo”, ha considerato che il suo contenuto avrebbe potuto ”fomentare manifestazioni di protesta nella casa circondariale di Siano”. Questa lettera proveniva da un prigioniero arabo rinchiuso nel carcere di Rossano (CS). Si denunciava di un pestaggio a sangue di un detenuto arabo attuato dalle guardie nella sezione AS2 dello stesso carcere dove, “guarda caso”, nei giorni precedenti tramite battiture e uno sciopero della fame, i prigionieri uniti in una protesta collettiva della stessa sezione lottavano per il diritto ai colloqui con i familiari, per l’uso del campo sportivo interno al carcere, la possibilità di detenere radioline o lettori CD e di conservare alimenti in frigo. Un esempio che dimostra anche come, nonostante le pratiche repressive sempre più “sottili” e le pesanti vessazioni, i prigionieri e le prigioniere continuino a lottare e resistere. D’altronde le strategie di repressione preventiva ai prigionieri rivoluzionari sono proporzionate alla repressione che sempre più si acutizza nei confronti dei vari settori della lotta di classe. Qui come nel resto del mondo il quadro non cambia, in un sistema, quello capitalista, che ingrovigliato da una crisi irreversibile ha tremendamente bisogno di soffocare ferocemente ogni embrione di lotta rivoluzionaria. Ma i germogli che cercano il sole del cambiamento continuano a nascere, perché è l’amore per la vita stessa che necessita della libertà dallo sfruttamento e dalle ingiustizie di questo mondo corrotto. Come parenti e amici ci siamo sempre trovati forti nel lavoro della solidarietà unitamente a tanti compagni e compagne, a operai, a lavoratori e giovani proletari, a realtà di movimento anche a livello internazionale. Partecipiamo a questa mobilitazione rilanciando anche la necessità di creare un fronte unito e compatto, che ci veda sempre più numerosi, perché da dentro e fuori le carceri di tutto il mondo, la solidarietà di classe sia un’arma sempre più forte, capace di spezzare ogni catena.

CONTRO L’ISOLAMENTO, LA DIFFERENZIAZIONE, IL 41 BIS!
AL FIANCO DEI/DELLE PRIGIONIERI/E RIVOLUZIONARI/E DI TUTTO IL MONDO!
SETTEMBRE 2010

Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli Arrestati il 12/02/07
Parentieamici@gmail.comhttp://www.parentieamici.org


PRESIDIO SOTTO AL CARCERE DI LATINA DOMENICA 19 SETT

settembre 16, 2010

RILANCIAMO LA PARTECIPAZIONE AL PRESIDIO SOTTO AL CARCERE DI LATINA
DOMENICA 19 SETTEMBRE ORE 13
INSIEME ALZEREMO I PUGNI, UNITI SPEZZEREMO LE CATENE!

I prigionieri rivoluzionari rappresentano la più viva espressione della lotta all’attuale sistema capitalista e costituiscono il legame diretto e concreto con l’orizzonte della Rivoluzione, poiché è in nome di quest’ultima che essi sono all’interno delle carceri di tutto il mondo. Questi compagni stanno scontando delle pene lunghissime per la sola colpa di non aver mai messo in discussione la prospettiva rivoluzionaria, come unico mezzo di liberazione da parte delle classi oppresse. Infatti, soltanto attraverso questa prospettiva, le masse di sfruttati e diseredati potranno spezzare quelle opprimenti catene e liberarsi dalla schiavitù dello Stato borghese. La memoria storica impersonata dai prigionieri rivoluzionari e il ruolo che essi svolgono sul fronte della galera risultano elementi fondamentali e complementari alla lotta che viene condotta al di fuori delle prigioni. Domenica 19 settembre ci sarà un presidio sotto al carcere di Latina e si colloca nel contesto della campagna di solidarietà lanciata dal Soccorso Rosso Internazionale, e ripresa in diversi paesi d’Europa, per i prigionieri politici di lunga detenzione, da Marco Camenischi a Mumia Abu Jamal, a George Ibrahim Abdallah e molti altri ancora. È necessario in questo contesto ribadire e sottolineare l’internità alla lotta dei nostri compagni prigionieri, i quali, non rinunciando alla loro identità politica e non rinnegando l’appartenenza alle lotte, non fanno altro che combattere insieme a noi, al nostro fianco. Un saluto va ai compagni Marco, Costa, Silvia e Billy, detenuti nelle galere svizzere, e che partecipano attivamente alla campagna con uno sciopero della fame iniziato il 10/09. Lontanamente da quanto vorrebbero le logiche del sistema, il carcere, che ha il compito di condurre alla spersonalizzazione politica, eliminando e annichilendo la coscienza di classe, si scontra, invece, con la coraggiosa resistenza dei prigionieri. Nello specifico, proprio qui a Latina, si trovano ben sei compagne di lunga detenzione e sono rinchiuse da oltre vent’anni. Esse, come moltissime altre rivoluzionarie prigioniere, non hanno mai ripudiato il percorso politico che le ha portate a questa sorte e l’apporto che continuano a dare alla lotta è una chiara manifestazione dell’importanza del ruolo della donna dentro ai processi di trasformazione della società. La determinazione con cui le compagne all’interno delle prigioni rivendicano la propria autonomia di pensiero e si oppongono a qualsiasi forma di collaborazione o pentimento, in cambio di vane promesse, è una chiara dimostrazione della loro reale emancipazione, libere nell’aver scelto la via della lotta. Ma questa libertà ha un prezzo da pagare: le vessazioni del sistema carcere, l’isolamento, la censura, la separazione dai propri affetti, la divisione dal resto del corpo delle detenute ecc. Cogliamo l’occasione per denunciare anche che, recentemente, proprio il carcere di Latina ha decurtato lo stipendio mensile interno, quale spesso unica fonte di sostentamento per i detenuti, a causa dai tagli effettuati dal governo per far fronte alla crisi economica (già, perché il carcere, in quanto specchio della società, riflette continuamente tutte le sue lacune!). La detenzione comporta saper affrontare anche situazioni di soprusi da parte delle guardie carcerarie, che rappresentano la galera nei suoi aspetti più vili e disumani. A questo proposito, non è possibile fare a meno di denunciare quanto è recentemente accaduto presso il carcere di Rossano (Cs), dove sono rinchiusi numerosi prigionieri di guerra arabi, provenienti da carceri internazionali come Guantanamo o Bagram (prigione in Afghanistan sotto il controllo USA). Questa estate, a un compagno detenuto nel carcere di Siano, il quale teneva una corrispondenza epistolare con un prigioniero di Rossano, è stata applicata la censura a causa di una lettera, che raccontava la denuncia di un pestaggio inferto da parte di alcuni carcerieri. Inutili i commenti: ancora una volta, il carcere borghese ha rivelato la sua natura coercitiva, tesa ad annientare i prigionieri più “scomodi” ed a evitare un’unità al’interno del fronte-carcere. In un momento storico come quello presente, caratterizzato da un’acuta fase di crisi economica e strutturale, credere in una prospettiva rivoluzionaria significa essere consapevoli e pronti a subire la repressione per mano dello Stato. Di fronte a ciò, l’unica soluzione è quella di non lasciarsi trovare impreparati e di saper fronteggiare il carcere, cogliendone gli aspetti più produttivi, al fine di considerarlo come un’altro fronte di lotta. È nostro compito, qui fuori, costruire un’ampia solidarietà di classe attorno ai rivoluzionari prigionieri per rafforzare il filo rosso che ci unisce e ricollocare i compagni nelle battaglie al nostro fianco.

Al fianco delle donne che resistono!
Libertà per tutte le rivoluzionarie!
Insieme nella lotta spezzeremo le nostre catene!

Padova, settembre 2010
Compagne antifasciste
Compagni/e per la costruzione del Soccorso Rosso in Italia
cccpsri1@gmail.com

RILANCIAMO LA PARTECIPAZIONE AL PRESIDIO
SOTTO AL CARCERE DI LATINA
DOMENICA 19 SETTEMBRE ORE 13

INSIEME ALZEREMO I PUGNI,

UNITI SPEZZEREMO LE CATENE!

I prigionieri rivoluzionari rappresentano la più viva espressione della lotta all’attuale sistema capitalista e costituiscono il legame diretto e concreto con l’orizzonte della Rivoluzione, poiché è in nome di quest’ultima che essi sono all’interno delle carceri di tutto il mondo. Questi compagni stanno scontando delle pene lunghissime per la sola colpa di non aver mai messo in discussione la prospettiva rivoluzionaria, come unico mezzo di liberazione da parte delle classi oppresse. Infatti, soltanto attraverso questa prospettiva, le masse di sfruttati e diseredati potranno spezzare quelle opprimenti catene e liberarsi dalla schiavitù dello Stato borghese.

La memoria storica impersonata dai prigionieri rivoluzionari e il ruolo che essi svolgono sul fronte della galera risultano elementi fondamentali e complementari alla lotta che viene condotta al di fuori delle prigioni.

Domenica 19 settembre ci sarà un presidio sotto al carcere di Latina e si colloca nel contesto della campagna di solidarietà lanciata dal Soccorso Rosso Internazionale, e ripresa in diversi paesi d’Europa, per i prigionieri politici di lunga detenzione, da Marco Camenischi a Mumia Abu Jamal, a George Ibrahim Abdallah e molti altri ancora. È necessario in questo contesto ribadire e sottolineare l’internità alla lotta dei nostri compagni prigionieri, i quali, non rinunciando alla loro identità politica e non rinnegando l’appartenenza alle lotte, non fanno altro che combattere insieme a noi, al nostro fianco. Un saluto va ai compagni Marco, Costa, Silvia e Billy, detenuti nelle galere svizzere, e che partecipano attivamente alla campagna con uno sciopero della fame iniziato il 10/09.

Lontanamente da quanto vorrebbero le logiche del sistema, il carcere, che ha il compito di condurre alla spersonalizzazione politica, eliminando e annichilendo la coscienza di classe, si scontra, invece, con la coraggiosa resistenza dei prigionieri. Nello specifico, proprio qui a Latina, si trovano ben sei compagne di lunga detenzione e sono rinchiuse da oltre vent’anni. Esse, come moltissime altre rivoluzionarie prigioniere, non hanno mai ripudiato il percorso politico che le ha portate a questa sorte e l’apporto che continuano a dare alla lotta è una chiara manifestazione dell’importanza del ruolo della donna dentro ai processi di trasformazione della società. La determinazione con cui le compagne all’interno delle prigioni rivendicano la propria autonomia di pensiero e si oppongono a qualsiasi forma di collaborazione o pentimento, in cambio di vane promesse, è una chiara dimostrazione della loro reale emancipazione, libere nell’aver scelto la via della lotta. Ma questa libertà ha un prezzo da pagare: le vessazioni del sistema carcere, l’isolamento, la censura, la separazione dai propri affetti, la divisione dal resto del corpo delle detenute ecc. Cogliamo l’occasione per denunciare anche che, recentemente, proprio il carcere di Latina ha decurtato lo stipendio mensile interno, quale spesso unica fonte di sostentamento per i detenuti, a causa dai tagli effettuati dal governo per far fronte alla crisi economica (già, perché il carcere, in quanto specchio della società, riflette continuamente tutte le sue lacune!).

La detenzione comporta saper affrontare anche situazioni di soprusi da parte delle guardie carcerarie, che rappresentano la galera nei suoi aspetti più vili e disumani. A questo proposito, non è possibile fare a meno di denunciare quanto è recentemente accaduto presso il carcere di Rossano (Cs), dove sono rinchiusi numerosi prigionieri di guerra arabi, provenienti da carceri internazionali come Guantanamo o Bagram (prigione in Afghanistan sotto il controllo USA). Questa estate, a un compagno detenuto nel carcere di Siano, il quale teneva una corrispondenza epistolare con un prigioniero di Rossano, è stata applicata la censura a causa di una lettera, che raccontava la denuncia di un pestaggio inferto da parte di alcuni carcerieri. Inutili i commenti: ancora una volta, il carcere borghese ha rivelato la sua natura coercitiva, tesa ad annientare i prigionieri più “scomodi” ed a evitare un’unità al’interno del fronte-carcere.

In un momento storico come quello presente, caratterizzato da un’acuta fase di crisi economica e strutturale, credere in una prospettiva rivoluzionaria significa essere consapevoli e pronti a subire la repressione per mano dello Stato. Di fronte a ciò, l’unica soluzione è quella di non lasciarsi trovare impreparati e di saper fronteggiare il carcere, cogliendone gli aspetti più produttivi, al fine di considerarlo come un’altro fronte di lotta. È nostro compito, qui fuori, costruire un’ampia solidarietà di classe attorno ai rivoluzionari prigionieri per rafforzare il filo rosso che ci unisce e ricollocare i compagni nelle battaglie al nostro fianco.

Al fianco delle donne che resistono!

Libertà per tutte le rivoluzionarie!

Insieme nella lotta spezzeremo le nostre catene!

Padova, settembre 2010

Compagne antifasciste

Compagni/e per la costruzione del Soccorso Rosso in Italia

cccpsri1@gmail.com


GIU’ LE MANI DA VIA VOLTURNO! NO ALLO SGOMBERO DELLA CASA DI DAVIDE!

agosto 22, 2010

Martedì 24 agosto 2010 è previsto lo sgombero esecutivo della casa di un compagno, Davide Bortolato, in via Volturno a Padova, di proprietà dell’ATER, a lui assegnata da più di vent’anni.
Davide è, dal 12 febbraio 2007, prigioniero nelle carceri dello stato, insieme ad altri 6 compagni, in seguito alla famigerata “operazione Tramonto”. E’ quindi in galera in quanto avanguardia operaia e comunista, poiché da quando ha capito la natura criminale del sistema capitalista, lo ha sempre combattuto, schierandosi generosamente al fianco degli sfruttati, lottando per migliori condizioni di vita e di lavoro nella sua fabbrica, contro una classe dirigente serva degli interessi dei grandi padroni.
Davide ha sempre lottato anche per il diritto alla casa, contro la speculazione edilizia e l’abbandono al degrado di centinaia di case di proprietà dell’ATER e del Comune alla fine degli anni ’80. Lotta che lo ha portato a occupare una casa sfitta da anni e a renderla di nuovo abitabile; così, insieme a un movimento di lotta ampio, fatto di famiglie e giovani proletari, decine di case a Padova in quegli anni sono state assegnate a chi aveva deciso di occuparle per rivendicare con la lotta il diritto ad avere un tetto sopra la testa.
Una di queste case oggi è sotto sgombero con la falsa e pretestuosa accusa di averla subaffittata ad altri: Davide, senza alcun interesse personale, ha ospitato dei giovani proletari che non possono permettersi di pagare un affitto privato e nemmeno fare un mutuo perché precari a vita e, fin dal suo arresto, ha sempre fatto in modo che gli affitti fossero regolarmente pagati.
Nonostante questo, e soprattutto, nonostante la sua posizione giudiziaria non sia ancora definitiva, in attesa della sentenza della Cassazione, e ci sia ancora un ricorso amministrativo in corso, il Comune di Padova, approfittando dell’attuale periodo di ferie, ha ordinato lo sgombero con la forza pubblica.
Ma non è il primo sgombero: già due anni fa, dalla casa di un altro compagno in carcere, in regola con i pagamenti all’ATER, è stata sfrattata una giovane compagna incinta prossima al parto che lì era ospite temporanea e che è stata lasciata in mezzo alla strada dall’allora assessore alla casa Ruffini.
Oggi l’assessore alla casa è Giovanni Battista Di Masi, eletto con la lista Italia dei valori. Se questo signore, oggi irreperibile, non farà nulla per trovare una soluzione alternativa al problema, vorrà dire che anche il suo partito, che si fa paladino della giustizia e della legalità, nei fatti difende la politica di palazzo che, da anni, copre i veri casi di subaffitto da parte di assegnatari ATER i quali, spesso, lavorano proprio all’interno delle stesse istituzioni.
Mobilitarsi contro questo sgombero, non significa quindi solo difendere la possibilità per Davide di riavere una casa quando uscirà di prigione; non solo serve a contrastare la politica della terra bruciata attorno ai compagni, ma anche rivendicare la necessità di difendere tutti i diritti essenziali, che ci stanno togliendo giorno dopo giorno, attraverso la lotta unitaria dei proletari.

LA CASA E’ UN DIRITTO: DIFENDIAMOLA CON LA LOTTA!

MARTEDI’ 24 AGOSTO dalle ore 6.00
PRESIDIO IN VIA VOLTURNO 23

Associazione Solidarietà Parenti e amici degli arrestati il 12-2-2007


Niente di nuovo sotto il sole – Le nuove crociate – Avv. G. Pelazza

luglio 5, 2010

La sentenza fotocopia al processo di appello agli arrestati del febbraio 2007

Un anno fa (il 18 giugno 2009) commentavo su questo sito la sentenza 13 giugno 2009 della 1° Corte di Assise di Milano che aveva concluso il processo agli arrestati del 12 febbraio 2007, alcuni dei quali avevano rivendicato il progetto di costituzione del Partito Comunista Politico Militare. Non avrebbe senso richiamare ora quelle considerazioni (è pur sempre possibile rileggerle), mentre è giusto svolgere qualche considerazione sulla sentenza di appello pronunciata il 24 giugno scorso, e sui suoi possibili significati. Dunque, la sentenza di appello, oltre ad aver assolto un altro imputato (condannato in primo grado a 3 anni e 6 mesi, e che ha patito una lunga custodia cautelare (circa 2 anni e 11 mesi) ha ridicolmente ridotto le maggiori pene inflitte: chi era stato condannato a 15 anni si è visto portare la pena a 14 anni e 7 mesi, chi era stato condannato a 13 anni e 10 mesi è stato ora condannato a 13 anni e 5 mesi, chi a 11 anni e 1 mese ha ora “incassato” 10 anni, 10 mesi e 15 giorni, chi a 10 anni e 11 mesi ora si ritrova condannato a dieci anni, 8 mesi e 15 giorni, chi a 8 anni e 3 mesi si è visto ridurre la pena a 8 anni e 15 giorni. Queste riduzioni di pena, che suonano come una vera e propria presa in giro, si collegano all’assoluzione, nell’ambito della accusa di detenzione e ricettazione di armi e munizioni, dai fatti più incredibilmente fantasiosi (in realtà, nell’abbondanza di tale tipologia di fatti, scelti sostanzialmente a caso), del tipo detenzione e ricettazione di “duecento cartucce di calibro non individuato che occultavano in un luogo non ancora individuato”, ovvero detenzione e ricettazione di “armi e munizionamento non meglio precisate… quali per esempio un’arma indicata come «sportoncino» ed altra indicata come «siculotto»”. Il centro della questione sta, tuttavia, nell’aver lasciato inalterato l’impianto accusatorio principale, e cioè quello relativo ai reati associativi (270 bis – associazione con finalità di eversione, e 306 – banda armata). Già l’anno scorso, nell’immediatezza della sentenza di primo grado, si era parlato della ripresa della teoria giuridica della colpa d’autore, e cioè della teoria per cui “ti punisco non per quello che hai fatto ma per quello che sei”. Per cui ora non è il caso di riprendere questa considerazione, che pure è centrale. È il caso, piuttosto, di sottolineare come il Giudice dell’appello, il cui compito è, appunto, quello di verificare la correttezza dello svolgimento del processo di primo grado e la correttezza delle motivazione della prima sentenza, è completamente venuto meno a tale suo dovere, convalidando una sentenza la cui motivazione – per prudenza di chi scrive – è meglio non definire, e ignorando le clamorose violazioni procedurali che hanno connotato il primo giudizio. Ma, del resto, non c’è da stupirsi, e ciò per un duplice motivo, uno di carattere generale (e assolutamente il più importante) e l’altro di un carattere peculiare, che dimostra comunque la “disinvoltura” con cui si muovono i magistrati. Perché “disinvoltura”? Perché vanamente la difesa aveva chiesto all’inizio del processo, immediatamente, che la Presidente della Corte si astenesse (non era tecnicamente possibile la ricusazione), in quanto non solo negli anni 80 aveva fatto parte – brillando per animosità nei confronti degli imputati di quegli anni – del c.d. Pool milanese dei pubblici ministeri antiterrorismo, ma addirittura era stata, sempre a Milano, Procuratore Aggiunto fino a dopo il 12/2/2007, e cioè per tutto il periodo in cui la Procura di Milano aveva condotto le indagini contro questi imputati, richiedendone infine la cattura, essendo allora collega del sostituto procuratore (la PM dottoressa Boccassini) che aveva guidato le indagini e poi sostenuto l’accusa nel processo di primo grado, e, altresì, della ora sostituto Procuratore Generale, dottoressa Barbaini, che ha sostenuto l’accusa nel processo di appello, e che all’epoca era alla Procura della Repubblica. E tutto questo, si badi, avendo ottenuto di passare dalla magistratura requirente a quella giudicante presso la stessa sede giudiziaria, senza doversi, cioè, trasferire presso un’altra Corte di Appello e in un’altra provincia, per il cd “rotto della cuffia”, dal momento che dal 31 luglio 2007, in seguito all’entrata in vigore della legge 111/2007 (Modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario) non le sarebbe stato più, in alcun modo, consentito. Ma passiamo ora al motivo di carattere generale per cui è stata emessa questa sentenza. Io credo che sia necessario “rispolverare” qualche antica nozione sulla natura dello Stato, e sull’esser la magistratura, una sua componente fondamentale. Il richiamo alla “colpa d’autore”, infatti, ha la sua ragion d’essere proprio nella collocazione del Potere Giudiziario fra i pilastri del complessivo potere dello Stato. Il Potere giudiziario, cioè, ben lungi dall’essere deputato a rispondere al bisogno di giustizia della Società, è invece calibrato – nella sua intima essenza – sulla esigenza di difesa dello Stato da chi è individuato come suo nemico, anche se, bisogna evitare di cadere in una visione dogmatica e esclusivamente ideologica. Infatti, a fronte dei progressivi e brutali imbarbarimenti dell’assetto normativo del nostro Ordinamento, e delle prassi che si affiancano a tali imbarbarimenti, si può verificare, all’interno del corpo giudiziario, un qualche “sussulto democratico” di qualche singolo soggetto che mal sopporta di svolgere un ruolo sempre più disancorato dalle premesse Costituzionali (che, se pur non modificano la intima e materiale natura di tale Potere, quantomeno cercano di “imbrigliarlo” all’interno di principi di democrazia e di un qualche rispetto per le libertà). Ma, comunque, sono le condizioni politiche che dettano il tempo e conducono la danza. Pensiamo che fra gli imputati più pesantemente condannati vi sono operai sindacalmente impegnati, riconosciuti come importanti punti di riferimento dai loro compagni di lavoro e nelle aree territoriali in cui operavano. Pensiamo a come, nei loro scritti allegati agli atti del processo, fosse costante l’attenzione degli imputati, rivendicanti il percorso politico che si è detto, alla situazione dei lavoratori (insieme alle tematiche più complessive relative alla linea politica rivoluzionaria). Pensiamo, poi, alla situazione attuale del mondo del lavoro, che non può certo dirsi “pacificato”: l’esito del referendum di Pomigliano, con la coraggiosa e nutrita minoranza di “no” al ricatto di Marchionne ne è testimonianza. Ed ecco, allora, che si spiega perché una Corte di Assise di Appello ignori le gravissime storture di una sentenza di primo grado, ri-applicando – sotto l’apparenza dell’ormai abituale schema del reato associativo – il cd “diritto penale del nemico” e il meccanismo della “colpa d’autore”. Agli operai di Pomigliano, e ovviamente, non solo a loro, deve essere lanciato un segnale forte. Al ricatto “privato” di Marchionne, si affianca il ben più pesante ricatto “pubblico” della “giustizia” penale.

Milano, 28.06.10
Avv. Giuseppe Pelazza


Programma conferenza

giugno 22, 2010


Conferenza Processo Politico 26/27 giugno

giugno 9, 2010


Dichiarazione finale dei prigionieri allegata agli atti

giugno 9, 2010

Presentazione verbale del documento allegato agli atti del processo d’Appello come dichiarazione finale.

Intervento fatto in aula il 27 maggio dal compagno Claudio Latino a nome dei compagni Alfredo Davanzo, Vincenzo Sisi, Davide Bortolato del Collettivo Comunisti Prigionieri “L’Aurora” e del militante comunista prigioniero Massimiliano Toschi.

– La nostra presa di posizione collettiva è espressa nel documento che oggi alleghiamo agli atti, qui mi limiterò a presentarlo e a farne una rapida sintesi.

– Innanzitutto alcune parole sull’uso fatto dei nostri documenti dalla Corte di Primo Grado: è un uso mistificatorio. In perfetto stile inquisitorio.

Si è voluto considerare la nostra presa di posizione collettiva come la prova regina della confessione.

Si vede proprio che l’Inquisizione ha lasciato il segno nel modo di fare giustizia di questo stato.

Il bisogno di confessione è grande da parte delle Corti giudiziarie della nostra classe dominante.

E in questo processo questo bisogno si è fatto ancora più grande a causa della debolezza politica dell’accusa.

Solo questa debolezza, infatti, spiega la necessità di trasformare, con un’operazione da prestigiatori, in confessione un nostro documento politico.

È la stessa debolezza che spiega la necessità di sostituire tre giudici popolari alcuni giorni prima del ritiro in Camera di Consiglio. E in aggiunta c’è stata anche la provocazione di considerare tra i firmatari del nostro documento anche chi non lo ha firmato affatto come il compagno Bruno Ghirardi.

– Vogliamo ribadire che non abbiamo niente da confessare alle Corti giudiziarie della classe dominante. Il carattere di classe della loro giustizia è chiarito fino in fondo dal fatto che i padroni responsabili coscienti di migliaia di morti di operai per cancro, cosa riconosciuta anche dai “processi Eternit”, Pirelli e Fincantieri, non si faranno nemmeno un giorno di galera. Per non parlare delle stragi. Con relativi depistaggi e archiviazioni.

– I nostri documenti, le nostre espressioni politiche, sono assunzioni di responsabilità e dichiarazioni di solidarietà nei confronti della nostra classe. La classe il cui sfruttamento mantiene anche la sovrastruttura giudiziaria di cui questo processo è una manifestazione. Solo alla classe degli sfruttati e degli oppressi dobbiamo dare spiegazione del nostro essere qui come imputati di fronte alla giustizia borghese. E vogliamo ancora una volta utilizzare questa scomoda posizione per ribadire il nostro rapporto di unità con la classe operaia e ringraziare della solidarietà che ci è stata espressa nel corso del processo. Ringraziamento che non potrà mai compensare la grande onda di calore umano che è riuscita a raggiungerci superando le mura delle galere e le grate delle gabbie.

– Come con le altre prese di posizione anche con questa cerchiamo di portare il nostro modesto contributo nella ricerca della verità. Non si tratta però della verità giudiziaria della giustizia borghese, che ci ha già condannato e ci condannerà, ma della verità rivoluzionaria della classe che lotta per la fine del sistema dello sfruttamento e dell’oppressione, per una società senza distinzione di classe, basata non sull’individualismo ma sull’uguaglianza, finalizzata non al profitto individuale ma al benessere collettivo.

– In questo senso interveniamo in questo processo per ribadire ancora una volta il suo carattere politico. Questo processo è un momento dell’offensiva con cui la borghesia cerca di impedire lo sviluppo della lotta del proletariato.

Lo fa con i manganelli della celere contro i lavoratori, i giovani e le popolazioni in lotta e lo fa con la magistratura e i processi che colpiscono avanguardie e soggettività che si pongono sul piano strategico – organizzativo per strappare il potere alla classe degli sfruttatori.

Tutte queste sono contromisure che la borghesia prende per far fronte alla crisi del suo sistema. Una crisi che come si è visto negli ultimi anni è tra le più gravi della storia del capitalismo.

– in considerazione di questa situazione abbiamo scelto di introdurre il nostro documento con una frase di Carl Marx: “A un dato punto del loro sviluppo le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà dentro ai quali tali forze per l’innanzi si erano mosse. Questi rapporti da forme di sviluppo delle forze produttive si convertono in loro catene. E allora subentra una epoca di rivoluzione sociale.”.

– Abbiamo fatto questa citazione per due motivi. Primo perché vogliamo rimarcare che la nostra storia non è assolutamente descritta nel racconto che ne fa chi ci accusa. E’ una storia che non è solo parte della storia e del movimento delle organizzazioni rivoluzionarie originatesi dal ’68 studentesco e dal ’69 operaio che a partire dagli anni ’70 hanno riaperto l’opzione della rivoluzione proletaria ponendo la questione del potere. Ci interessa, infatti, rivendicare che la nostra piccola storia è una goccia del grande fiume del movimento comunista internazionale che da oltre 150 anni rappresenta l’unica vera possibilità di superamento dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo fondamento del capitalismo.

– Il secondo motivo è che la frase di Marx è una lucida descrizione della situazione attuale di crisi del capitalismo, crisi che è precipitata in questi ultimi anni.

Anni di crisi in cui i volumi di ricchezza bruciati sono stati enormi. La saturazione dei mercati ormai rende impossibile un investimento produttivo che valorizzi i capitali in eccesso. È crisi di sovrapproduzione e l’unica via di uscita è la distruzione di forze produttive di alcuni a vantaggio di altri tra i gruppi imperialisti. In un contesto in cui le distruzioni dell’ambiente sono sempre più devastanti.

-sul fronte esterno si creano nuovi squilibri tra vecchie potenze economiche declinanti e nuove potenze emergenti e si approfondiscono tutte le contraddizioni. Si rafforza la tendenza alla guerra interimperialista e si sviluppano guerre per accaparrarsi risorse e posizioni strategiche come quelle che massacrano il popolo afgano e iracheno.

– Sul fronte interno ance nel nostro paese la crisi oltre che economica diventa anche politica e istituzionale. La torta da spartirsi diventa sempre più piccola e come conseguenza si assiste ad uno scontro sempre più acuto tra le diverse lobby affaristiche collegate alle diverse frazioni della borghesia e ai loro partiti. Uno scontro in cui si scoprono gli altarini: la corruzione, l’immoralità e la putrefazione del sistema dei valori della borghesia.

– Anche se sempre più divisi nella lotta per la spartizione del potere e della ricchezza quello su cui si trovano sempre d’accordo banchieri, industriali e governanti è far pagare la crisi ai lavoratori e alle masse popolari. Coltivano l’illusione di poter superare questa crisi intensificando lo sfruttamento, spremendo più sudore e succhiando più sangue, estraendo cioè più plusvalore dal lavoro e per questo riducendo ulteriormente i salari reali.

– In realtà quello del trasferimento sempre maggiore di ricchezza prodotta dai settori popolari a quelli padronali è un processo in atto da tempo e che con l’acuirsi della crisi si intensifica. Ma tutto questo travaso fatto di riduzione del cosiddetto costo del lavoro, licenziamenti, tagli e privatizzazioni di sanità, scuola, previdenza e assistenza che ha portato alla miseria interi strati proletari non è servito ad impedire l’inevitabilità della crisi.

– Ha creato però una situazione sempre più insostenibile che porta ad un aumento delle lotte operaie e delle masse popolari. Mobilitarsi in prima persona per la difesa dei propri interessi primari diventa una scelta obbligata. E sempre più difficile diventa il lavoro degli imbonitori, dei professionisti della resa agli interessi dei padroni.

– Queste lotte sono caratterizzate dalla difficile ricerca di una soluzione di parte proletaria del problema. Esprimono contenuti come: “La vostra crisi non la paghiamo”, “A lavoro uguale salario uguale”, “Contro la privatizzazione e mercificazione dei beni comuni” (acqua), “Lavorare meno, lavorare tutti” che contrastano i piani del supersfruttamento. Ma come anche la rivolta degli immigrati a Rosarno ci ha mostrato la realtà dell’oppressione capitalistica è un blocco di potere dispotico e violento che dagli avvoltoi della finanza mondiale scende fino ai negrieri-caporali.

– Questo blocco di poter si può affrontare solo imparando a coniugare resistenza e attacco. Un esempio in questo senso lo troviamo nella situazione attuale in Grecia dove parallelamente alla mobilitazione di massa contro l’affamamento e la miseria si dà la ripresa della lotta armata per il potere. Il movimento di classe che si rifiuta di pagare i costi insopportabili della crisi del sistema entra in dialettica con l’istanza rivoluzionaria trovando così una prospettiva politica.

– A noi preme ribadire ancora una volta che il polo principale di questa necessaria dialettica è l’istanza rivoluzionaria. Il piano di partito che si pone sul terreno di scontro per il potere. E’ qui che il lavoro dei comunisti trova il suo sbocco come la storia del movimento comunista internazionale ha ampiamente dimostrato.

Solo con il partito il movimento delle masse può conquistarsi una strategia rivoluzionaria e rovesciare l’oppressione attraverso una guerra popolare prolungata.

– Naturalmente se, come noi crediamo, questo sviluppo è storicamente inevitabile, ed è anche accelerato dalla crisi in corso, nessun processo e nessuna sanzione giudiziaria potrà impedirlo.

– La crisi produce guerra e miseria: sostenere la resistenza, organizzare l’attacco.

– Costruiamo il partito Comunista-P.M. della classe operaia e del proletariato.

– Proletari di tutto il mondo uniamoci: morte all’imperialismo, libertà ai popoli.


Cronaca udienza 27 Maggio

giugno 9, 2010

Cronaca dell’Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli Arrestati il 12/02/07 sull’udienza del 27 maggio del processo d’Appello in corso a Milano contro i compagni e la compagna arrestati nell’ambito dell’operazione “Tramonto”.

Importante mobilitazione di solidarietà internazionalista al processo di Milano!

Fuori dall’aula

Nonostante la pioggia, un affollato e determinato presidio di oltre 150 persone ha accompagnato per tutta la giornata l’udienza del 27 maggio. L’aula è stata riempita costantemente dalla calorosa presenza di parenti e amici, colleghi di lavoro degli imputati e da compagni solidali di delegazioni arrivate da diverse parti d’Italia e d’Europa. La delegazione del Soccorso Rosso Internazionale, formata da rappresentanti giunti dalla Germania, dal Belgio, dalla Svizzera e dalla Spagna è stata la miglior risposta all’attacco repressivo sferrato dalla magistratura belga, in combutta con quella italiana, con gli arresti del 5 giugno 2008 di militanti del Soccorso Rosso, da tempo tutti liberi.

Corso di Porta Vittoria è stato colorato da una miriade di striscioni per la libertà dei compagni, contro il carcere imperialista e la repressione, contro l’isolamento, il 41 bis, la differenziazione e le carceri confino. Il rumore del traffico milanese è stato più volte sovrastato da cori di slogan e da interventi al megafono. A metà mattinata il presidio si è trasformato in blocco stradale incurante della minaccia di carica della sbirraglia.

Il presidio ha espresso anche la piena solidarietà ai compagni, dell’inchiesta 10 giugno 2009, in udienza preliminare a Roma nella stessa giornata.

Dentro l’aula

La parola alla difesa e agli imputati.

La difesa

L’avvocato Giuseppe Pelazza, in una lunga, meticolosa e avvincente arringa, accolta da un fragoroso applauso del pubblico presente in aula, ha espresso le motivazioni del ricorso in appello.

Una arringa di denuncia sull’utilizzo dei reati associativi contro la lotta di classe e rivoluzionaria e sui metodi poco ortodossi con cui è stata costruita l’inchiesta ed è stata emessa la sentenza di primo grado.

Una denuncia chiara e precisa utile a capire, oltre a questo specifico processo, come oggi vengono costruite le inchieste ed emesse le sentenze.

Diffonderemo appena possibile integralmente tutta l’esposizione.

In sintesi

La prima parte dell’intervento dell’avvocato ha esposto le motivazione della richiesta di nullità della sentenza:

  • Molti faldoni sono stati inseriti nelle carte dell’accusa dopo la chiusura delle indagini preliminari, in particolare quelli riguardanti la presunta e impossibile connivenza dei compagni con l’infame Maniero e la sua banda e quello riguardante la solidarietà. La comparsa di Maniero voleva essere utile a gettare fango sugli imputati e a garantire la spettacolarizzazione del processo. Stile, questo, adottato costantemente dall’accusa.
  • La sospensione dei termini proposta dalla pm Bocassini, e accettata dalla Corte di primo grado, è stata illegale in quanto introdotta per la criminalità organizzata e poiché c’era già una norma esistente fin dal 1995 applicabile per reati di “terrorismo”. Pelazza ha espresso la sua irritazione per questo non essendoci nessuna possibilità di vicinanza degli imputati con la mafia dicendo: “Tirate la corda del diritto in modo troppo vistoso, se il reato è politico non potete applicare il diritto usato per la criminalità organizzata”.
  • Non sono ammissibili le “informazioni fiduciarie” del SISDE (Servizio di Intelligence). A questo proposito ha citato alcune sentenze e scritti di Spataro in cui si afferma che possono essere utilizzate solo se sono riconoscibili fonti e definizioni e si dice che i prigionieri hanno diritto a un giusto processo.
  • In sentenza è stato riconosciuto un danno a Ichino per la scorta che ha dovuto “subire”: 5 mesi, 100.000 euro, 20.000 euro al mese! Non c’è stato nessun danno, innanzitutto perché è stato dimostrato in primo grado che tutta la vicenda è falsa e poi perché la scorta c’era già fin dal 2003. Lo scriveva allora, tutto tronfio, lo stesso Ichino sui giornali. Noi possiamo, su questo personaggio, esprimere solo il nostro disprezzo: un uomo vestito subdolamente di sinistra per nascondere l’uomo profondamente di destra, incarnazione vivente del concetto espresso a suo tempo da Gianni Agnelli, che la politica di destra si fa meglio con la sinistra. E non possiamo scordare che gli arresti sono scattati per il pericolo “omicidiario” grazie proprio a una falsa intercettazione fornita dalla questura alla Bocassini in cui i compagni avrebbero detto: “Siamo pronti ad ammazzare Ichino”.
  • Sono stati cambiati, prima di entrare in camera di Consiglio ben tre Giudici Popolari per futili motivi! Ciò è inammissibile. Ci sono sentenze di Cassazione che hanno annullato processi di primo e secondo grado per l’esonero di un solo giudice.
  • Le perizie sulle intercettazioni, su cui si basa principalmente tutta l’inchiesta, sono state fatte su copie delle stesse e non sugli originali e, addirittura, non è documentato chi e come ha fatto queste copie! L’intercettazione da cui è stato costruito il falso di Ichino è tratta da un’intercettazione più lunga in cui addirittura i compagni vengono intercettati da molto prima del loro arrivo sul luogo (ci sono le relazioni della digos che notano, al minuto, gli orari precisi in cui i compagni arrivano). A proposito delle intercettazioni Pelazza esprime il suo disappunto sul fatto che il Giudice a latere Enrico Scarlini, estensore delle motivazioni della sentenza, sembra proprio che si vanti di non averle ascoltate. Per di più non ha nemmeno ascoltato le costose registrazioni del dibattimento: nella sentenza non c’è nemmeno un riferimento ad esse!
  • Non è chiaro come siano state trovate le armi, le versioni di Pifferi (capo della digos di Padova) con cui il Rossin (coimputato dei compagni divenuto loro accusatore) già due giorni dopo l’arresto ha chiesto di parlare, sono contraddittorie. Ci sono molte “stranezze” che emergono dalle carte processuali sia sulle armi che sulle diverse e successive versioni del Rossin che, mano a mano che passa il tempo, si allineano con ciò che dice l’accusa.

Oltre alle motivazioni delle nullità l’avvocato denuncia le troppe “malignità” utilizzate per stilare la sentenza, indice piuttosto di un metodo adottato nel scriverla che di semplice “cattiveria”. Sono state infatti utilizzate “prove” non ammesse al dibattimento fino ad arrivare al ridicolo di accusare un compagno dell’acquisto di un’arma da un altro imputato che è stato assolto dal reato di averla venduta!

L’arringa è poi proseguita con la denuncia dell’uso dei reati associativi, in particolare del 270 bis figlio del 270 proveniente dal codice fascista Rocco, modificato col bis e l’aumento di pena da Kossiga nel 1979 e ulteriormente peggiorato nel 2005 con l’aggiunta della dizione “terrorismo internazionale”. Viene ricordato che la Cassazione negli anni 50 aveva abrogato questo articolo perché fascista. Viene denunciato che questi reati ora sono usati a piene mani preventivamente per reprimere la lotta di classe con la logica: “Ti puniamo non per quello che hai fatto ma per quello che sei”, il reazionario concetto della “Colpa d’autore”.

A questo proposito ricorda come, a differenza dei compagni che sono stati ritenuti colpevoli e come tali trattati e sbattuti, oltre che in galera, come mostri in prima pagina, Mario Mori, venuto a testimoniare anche in questa aula, capo del Sisde durante questa inchiesta, ora è sotto processo accusato di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e per lui vale la presunzione di innocenza. Stesso succede per Giampaolo Ganzer, comandante del Ros dei Carabinieri che, sotto processo a Milano con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, peculato e falso e per il quale è stata chiesta una condanna a 27 anni di carcere. Ganzer e Mori naturalmente oltre che a essere liberi occupano posti da dirigenti all’interno delle istituzioni!

A questo proposito l’avvocato ricorda che la pm Bocassini ha mentito in aula quando ha affermato che le “rivelazioni” del Sisde non sono state utilizzate per l’inchiesta mentre è di questo mese l’articolo sul “Il sole 24 ore” in cui, a proposito dell’inchiesta sulle porcherie italiane e il caso Anemone, viene scritto che la stessa si è complimentata per il prezioso contributo dato dagli agenti del Sisde per incarcerare i compagni.

Pelazza prosegue sul reato associativo dicendo che l’associazione deve essere idonea a ledere il bene protetto che in questo caso è lo Stato e cita nuovamente Spataro assertore di questo concetto giuridico. Deve esserci idoneità offensiva, sentenze sono state annullate perché non realizzavano tali requisiti, come ad esempio quella contro gli anarchici torinesi che, purtroppo, ha visto nel 1998 due compagni “suicidi”, Sole e Baleno.

In questo processo si è dimostrato che non esiste idoneità offensiva, ma si è di fronte ad atti preparatori per punire i quali esiste già l’art. 18 della famigerata legge Reale. Si giunge al paradosso di dover chiedere l’applicazione di una tale legge reazionaria!

Inoltre andrebbe applicato il semplice 270 modificato nel 2006 riferito al territorio nazionale e non il 270 bis modificato nel 2005 che ha l’aggiunta “terrorismo internazionale”e nel quale è ben specificato che le azioni devono essere “idonee”.

Ma la prova regina della sentenza è la “Confessione” degli imputati, ovvero il loro documento allegato agli atti in Primo Grado, in cui si parla di analisi della situazione attuale e di necessità della lotta di classe e di quella rivoluzionaria, quindi, viste le prove, non c’è nemmeno il 270!

L’avvocato lascia alla Corte le conclusioni.

I compagni dalla gabbia

Il compagno Claudio Latino interviene a nome del Collettivo Comunisti Prigionieri “L’Aurora” e del militante comunista Massimilano Toschi. Denuncia l’uso mistificatorio del documento consegnato ai giudici della Corte in Primo Grado che lo hanno trasformato in prova regina di confessione. Evidentemente, influenzati dal clima di Inquisizione che vive oggi l’Italia, hanno avuto il bisogno di creare una prova regina e ciò è chiaramente nato dalla mancanza di prove. La volontà punitiva si è espressa anche aggiungendo al documento una firma che non c’era, quella di Bruno Ghirardi, per colpirlo per la sua indomabile identità di rivoluzionario.

Il compagno ha poi spiegato che non hanno nulla da confessare e nemmeno nulla da spiegare alle Corti della giustizia borghese che sono quelle che assolvono i padroni assassini per l’eternit, per le morti sul lavoro, che coprono le stragi di stato. Invece hanno molto da spiegare alla loro classe, sul perché sono in una gabbia del tribunale borghese in veste di imputati e ringraziano calorosamente la loro classe per la solidarietà che ha manifestato in questi anni nei loro confronti.

“La nostra verità è che siamo qui per una società nuova, questo è un processo politico e fa parte di un’offensiva più generale che vede la polizia contro gli operai che lottano e contro i movimenti…La crisi è a un punto critico e per questo l’offensiva reazionaria è maggiore…”

Ha spiegato che la loro è solo una piccola esperienza per la costruzione di un Partito Comunista –pm in grado di porre la questione di come strappare il potere dalle mani degli sfruttatori e che la repressione non potrà fermare il divenire della storia perché, citando Marx e la lucidità con cui le sue analisi sono applicabili alla situazione attuale, a suo tempo scrisse: “Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono nelle loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. …”

Appena disponibile faremo circolare l’allegato agli atti prodotto dai compagni

Il Pubblico

Un folto pubblico stipato nell’aula ha accolto l’intervento dei compagni con un lungo e commosso applauso seguito da slogan, pugni chiusi e striscioni alzati a cui rispondevano i compagni da dietro le sbarre.

La presidente della Corte Maria Luisa Dameno ha subito invocato lo sgombero dell’aula, ma dopo qualche minuto, vista l’impossibilità dello sgombero, si è ritirata assieme a tutta la Corte.

La Corte ha così subito paradossalmente la mistificatoria linea assunta per la gestione forcaiola di questo processo: massima pubblicità, ostentazione di forza e messa in mostra dell’apparato ogni volta che parlava l’accusa, silenzio tombale per le giornate in cui parla la difesa. Infatti in aula il 27 c’erano pochissimi sbirri e, guarda caso, nemmeno un giornalista. Quando parlò la Bocassini, i suoi testi incappucciati, quando venne Ichino c’erano, in numero allucinante, ogni tipo di sbirri e l’aula illuminata dalle telecamere dei massmedia. Per la “pericolosità” degli imputati sono state messe le doppie griglie alla gabbia e addirittura, dopo un anno di udienze, misero la scorta a Luigi Domenico Cerqua che presiedeva la Corte di Primo Grado.

Il 27 maggio, improvvisamente, tutta la pericolosità degli imputati e del pubblico era svanita!

Evidentemente credevano che a tre anni e mezzo dagli arresti la solidarietà fosse scemata e, comunque, non volevano dare pubblicità alla difesa! Ma la solidarietà e la lotta non si fermeranno e saranno più forti del silenzio e delle menzogne dei mass media.

Va sottolineata la zozza ipocrisia dei mass media della sinistra borghese, particolari sostenitori delle “toghe rosse”, che, in questo periodo, non parlano altro che di diritto all’informazione sui processi e lanciano campagne e mobilitazioni: le bugie hanno sempre le gambe corte!

Invitiamo tutti a presenziare alla lettura della sentenza che si terrà il 24 di Giugno

Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli Arrestati il 12/02/07

parentieamici@gmail.com.itwww.parentieamici.org

29/5/2010


Giovedì 27 maggio – Solidarietà di classe: presidio a Milano!

Maggio 11, 2010